De Andrè e la mia anima si
somigliano, non c’è che dire. Grazie, diresti tu: negli anni ’90 lo stavi
sempre ad ascoltare, e quella volta al concerto a Bologna, durante “…Marinella”,
il tuo corpo tremava tutto e non volevi che ti guardassero negli occhi umidi;
quando Enrica ti ha detto al telefono che era morto, quasi svenivi neppure
fosse tuo zio. Poi, con l’avvento delle stagioni delle santità mediatiche, ti
sei rotto i coglioni. Basta De Andrè. Non lo ascoltavi più. Insopportabile quel
ciuffo a ogni angolo a dirci che lui quelle canzoni le aveva scritte per
salvare il mondo. Ma stiamo scherzando? Ma come, quello scriveva contro il
mondo - quello suo in particolare - per sfidarlo sul crinale delle
contraddizioni esistenziali e mostrando, sebbene l’amaro uscisse fuori lo
stesso, una libertà compositiva che scaturiva spesso in bellezza, quasi sempre;
anche se al suo talento toccava lottare contro una formalità, un’eleganza, che forse
si può spiegare dalla sua origine: il tormentato rapporto col padre, e con la
sua educazione tipica di certi ambienti colti e benestanti. Non ne usciva da questa
condizione neppure dormendo tra puttane e poeti poveri. Mica è facile, credo.
Ora tutti a trattarlo come l’apostolo, il
profeta. No, quelli se li vuoi vai a cercarli in chiesa o nei testi sacri, De
Andrè è meglio che se ne stia nelle auto incolonnate nel traffico dove persone si
dimenano contro i demoni quotidiani. Nessuna consolazione, ma solo sogni e
visioni di storie poggiate su belle melodie cantate. Lasciateci ascoltare le
sue canzoni in pace per i prossimi decenni, Fazio Fabio e compagnia bella
dovrebbero lasciarci in pace almeno le orecchie; intervistate i cantanti
viventi, tipo Bobo Rondelli o Dente, e cerchiamo di stare uniti nella realtà
del reale lasciando la mistica alla
chiesa e a Erri De Luca ( a cui ho voluto bene in passato, ma oggi…). Qui
stiamo alle prese con le lame affilate che le notti insonni ci parano davanti,
e l’indomani poi una fatica ad abbracciare i figli e rispettare i colleghi, le
mogli, e tutto il resto. Lasciate cantare il presente, e lasciateci sfiorare la
pelle dalle storie cantate (anche) da voci contemporanee. Tranquilla Dori,
nessuno si scorda del tuo Fabrizio, siamo tutti in debito con le sue splendide
canzoni e continueremo ad ascoltarle fino allo sfinimento. Sempre se lasciate
trasmettere solo le sue canzoni e non
veicolate appresso didascalie degne della peggior tradizione cattolica. La
migliore, forse, si ascolta De Andrè in santa pace, magari in compagnia dei
propri fantasmi che volteggiano come corvi fuori dalle sacrestie; dentro una
cappa vitale che illumina e deprime secondo della bisogna. Amen.
1 commento:
Deve essere un destino al quale non si sfugge a causa della morte. Come Rino Gaetano, che oggi tutti, o quasi, idolatrano e all'epoca era criticato se non addirittura deriso. Evidentemente ci piace seguire i profeti, e permettiamo che ce li fabbrichino ad hoc. Ascoltiamo in santa pace, come dici tu. In compagnia dei fantasmi della nostra adolescenza sbilenca.
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