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venerdì 13 gennaio 2012

polemiche d'inverno.


De Andrè e la mia anima si somigliano, non c’è che dire. Grazie, diresti tu: negli anni ’90 lo stavi sempre ad ascoltare, e quella volta al concerto a Bologna, durante “…Marinella”, il tuo corpo tremava tutto e non volevi che ti guardassero negli occhi umidi; quando Enrica ti ha detto al telefono che era morto, quasi svenivi neppure fosse tuo zio. Poi, con l’avvento delle stagioni delle santità mediatiche, ti sei rotto i coglioni. Basta De Andrè. Non lo ascoltavi più. Insopportabile quel ciuffo a ogni angolo a dirci che lui quelle canzoni le aveva scritte per salvare il mondo. Ma stiamo scherzando? Ma come, quello scriveva contro il mondo - quello suo in particolare - per sfidarlo sul crinale delle contraddizioni esistenziali e mostrando, sebbene l’amaro uscisse fuori lo stesso, una libertà compositiva che scaturiva spesso in bellezza, quasi sempre; anche se al suo talento toccava lottare contro una formalità, un’eleganza, che forse si può spiegare dalla sua origine: il tormentato rapporto col padre, e con la sua educazione tipica di certi ambienti colti e benestanti. Non ne usciva da questa condizione neppure dormendo tra puttane e poeti poveri. Mica è facile, credo.
 Ora tutti a trattarlo come l’apostolo, il profeta. No, quelli se li vuoi vai a cercarli in chiesa o nei testi sacri, De Andrè è meglio che se ne stia nelle auto incolonnate nel traffico dove persone si dimenano contro i demoni quotidiani. Nessuna consolazione, ma solo sogni e visioni di storie poggiate su belle melodie cantate. Lasciateci ascoltare le sue canzoni in pace per i prossimi decenni, Fazio Fabio e compagnia bella dovrebbero lasciarci in pace almeno le orecchie; intervistate i cantanti viventi, tipo Bobo Rondelli o Dente, e cerchiamo di stare uniti nella realtà del reale  lasciando la mistica alla chiesa e a Erri De Luca ( a cui ho voluto bene in passato, ma oggi…). Qui stiamo alle prese con le lame affilate che le notti insonni ci parano davanti, e l’indomani poi una fatica ad abbracciare i figli e rispettare i colleghi, le mogli, e tutto il resto. Lasciate cantare il presente, e lasciateci sfiorare la pelle dalle storie cantate (anche) da voci contemporanee. Tranquilla Dori, nessuno si scorda del tuo Fabrizio, siamo tutti in debito con le sue splendide canzoni e continueremo ad ascoltarle fino allo sfinimento. Sempre se lasciate trasmettere solo le sue canzoni e non veicolate appresso didascalie degne della peggior tradizione cattolica. La migliore, forse, si ascolta De Andrè in santa pace, magari in compagnia dei propri fantasmi che volteggiano come corvi fuori dalle sacrestie; dentro una cappa vitale che illumina e deprime secondo della bisogna. Amen.

1 commento:

Anonimo ha detto...

Deve essere un destino al quale non si sfugge a causa della morte. Come Rino Gaetano, che oggi tutti, o quasi, idolatrano e all'epoca era criticato se non addirittura deriso. Evidentemente ci piace seguire i profeti, e permettiamo che ce li fabbrichino ad hoc. Ascoltiamo in santa pace, come dici tu. In compagnia dei fantasmi della nostra adolescenza sbilenca.