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sabato 6 ottobre 2012

la vostra vita


Ho appena finito di vedere “La nostra vita” di Luchetti. Il dramma nel film emerge utilizzando la direzione sbagliata che prende il protagonista – prima operaio edile poi imprenditore in subappalto - dopo la morte, di parto, della moglie. Un’ostinata volontà di fare un passo avanti per scacciare il lutto e ripartire dall’illegalità, dai soldi che servono per continuare a immaginare le vacanze in costa smeralda. Intanto servono a coprire il vuoto di sentimenti che i figli vivono in quella casa. Poi segue una narrazione di ruggine e dolore.

 Sento cinismo nell’aria stasera. Già al parco, mentre i miei figli giocavano a pallone insieme a una cricca di ragazzetti sboccati e pallonari incalliti, mi chiedevo il limite tra le ragazzate e l’abisso verso l’indifferenza. Li osservavo da lontano, da una panchina di fronte al tramonto romano, in fondo vedevo pure il cupolone come in un plastico, e pensavo alla violenza che non vediamo quasi mai ma che percepiamo quasi sempre. Agli infiniti linciaggi che accadono ogni notte negli angoli. Al buio. E pure sappiamo, e la coscienza ribolle impaziente come quando l’incubo si veste di paure d’infanzia, in stanze minuscole di poster e porte chiuse.

Allora vedo questa rabbia che prende forma di cartacce sparse al parco. Di figli dolci in braccio a madri glaciali. Macchine lucidate con assassini a bordo. Lampioni spenti uno si e l’altro no. Curve di erbacce mai tagliate. Una donna africana avanza in compagnia delle sue pesanti buste della spesa. Del mio silenzio dignitoso contro i sorrisi sperperati in luoghi sterili.

Le telefonate fatte per noia. Gli sms sbagliati di tono.

Odiavo l’indifferenza di mio fratello mentre amavo la tua dolcezza futura.

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