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lunedì 19 novembre 2012

manifesto


Oggi ho visto un manifesto che pubblicizzava un evento letterario. Dichiarava che si trattava di letteratura libertaria, ribelle o giù di lì. C’era scritto di editori precari e anche scrittori precari, e poi una serie di figure precarie o ribelli o clandestine. Slogan. Solo slogan. Fino all’altro ieri anch’io campavo di slogan, i  miei manifesti erano le parole prese a prestito da situazioni gonfiate già da altri. Dagli anni settanta fino all’altro ieri. Sono stufo. Sono sereno. Perché ho scelto di parlare con i miei piedi, e di raccontare con le mie debolezze. So di poter far meglio ma anche di non fare nulla. Avrei dovuto strappare quel manifesto pieno di slogan, ma perché? In fondo non m’interessa contrastare qualcuno o qualcosa, vorrei soltanto affermare il mio mondo, il mio limite verde.

L’altra sera ho assistito a un concerto di un gruppo che fa musica gradevole, con impegno e stile. Eravamo una ventina a sentirli eppure oggi penso commosso alla loro gentilezza e al loro furgone pieno di strumenti e ambizioni. Giusto che sia così altrimenti perché non cantare soltanto per la propria fidanzata?

L’altra mattina ho coordinato un gruppo di papà coi loro bimbi, credo sia stato un momento di serenità per me e per le loro storie acerbe. Ci sporcavamo le mani assieme senza conoscere i nostri segreti intimi, e con essi le nostre ambizioni, le nostre fughe da vicoli stretti. Vedere una collaborazione viva tra i bimbi e i papà e tra bimbi e bimbi, e tra me e tutti loro, in una stanza di luce obliqua che metteva in rilievo le forme appena realizzate, be’, tutta questa mescolanza umana mi ha proiettato fuori dall’incubo durato vent’anni. Il piano è resistere, dice il cantante.

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