foto di Luigi Ghirri |
Poi a quindici
anni mio cugino mi chiede: ma ti piace almeno una cosa in particolare? pensaci,
e la prossima volta che vieni, me la racconti. Stavo da lui per una crisi
adolescenziale che s’innestava con problematiche famigliari. Punto. Racconto
biografico sì, ma fino a un certo punto, eh! Insomma, questa domanda mi ha
salvato dall’adolescenza. Addirittura? Vabbè, mi ha costretto a una scelta. O
diventavo animalesco simpatico come tanti coetanei oppure diventavo un fiore di
ragazzo. Nel senso di sbocciare e vedere cosa ne uscisse fuori. Nel tempo. Eccomi.
Ci ho pensato
per una settimana, non facevo altro. Alla fine, con mio sommo stupore, risposi:
fare il fotografo. Azz! Così, all’improvviso? Questo non me lo diceva mio
cugino, ma una vocina malefica che mi portavo sempre appresso, che, per
evitarla, scappavo prima di fare qualcosa di nuovo o in cui avrei dovuto
esibire almeno un venti percento di me. Lui, mio cugino, che mi accoglieva in
veste di psico-neurologo, era contento di questa risposta creativa. Allora
impegnati, mi fa, con la sua barba che avrei dovuto fotografare come origine
della specie: della mia specie, quella in evoluzione dal democristiano-paesano.
Da quel giorno ho cominciato a comprare riviste e libri di fotografie. Pure una
macchinetta, la Zenit, del blocco sovietico economico. Che non si sa mai. E
sognavo. Di fotografare ogni cosa che si muovesse con stile davanti al mio
sguardo. Son partito dalle tartarughe d’acqua che avevo in casa. Poi mia madre,
mio padre, il lungomare, le strade di Roma. Quest’ultime tutte fatte di corsa,
con l’angoscia che qualcuno potesse sgamarmi che stavo a Roma da solo. Ma dài,
non lo sapevi che il mondo e i romani andavano più in fretta di te? Scattavo senza
pensare, né con una grazia particolare. Scattavo e basta. E impegnati! Insisteva,
giustamente la vocina. Invece correvo con la fantasia e avidamente mi studiavo
tutta la collana Editoriale Fabbri. Ghirri e Jodice, Giacomelli e D’Alessandro, e tanti
altri fotografi che mi parevano quasi degli scrittori, comunque dei narratori…volevo diventare come
loro. In barba alle mode, anche se loro intanto erano già verso nuove idee – vedi Jodice – ed io agognavo paesaggi e umanità anni settanta. Quelli stavano a
Parigi o in America, per disintossicarsi dall’ideologia fumosa di quegli anni e
io già volevo tornare indietro. Fuori tema, il mio stile.
Oggi apro Orwell
e cosa vedo? Le immagini di Ghirri tra un pezzo e l’altro. Mi sono svegliato e
ho pensato che quelle foto, insieme a certe persone, hanno contribuito a smantellare
ogni vuoto di cui soffrivo: riempivo la sacca di sementi per scappare per
sempre.
Mi vedo dentro
lo scompartimento semideserto con la monografia nera davanti agli occhi,
all’interno astrazioni magnifiche, essenziali figure da ficcarsi in testa per
scacciare le miserie di quei tempi gonfiati e piatti.
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