van gogh |
Il mio amico
scrive di sé e del suo umore. Quando spulcio con passione il suo blog, e leggo
il suo piegarsi leggero ai malanni stagionali, lasciando fuori dalla pagina le
sue profonde e inquiete domande, allora, in quel momento, mi fa dispiacere un
po’. Meno male che all’improvviso riesce a tirar fuori racconti dettagliati e
neri con adorabili parentesi esistenziali, colorate da intermittenti stati d’animo,
e allora leggerlo mi fa davvero piacere e spesso glielo commento, contento.
Con lui ho
condiviso, durante un agosto di anni fa, risate e racconti dentro a una stanza
assolata dell’asl più a sud di Roma. Ci s’immergeva dentro enormi risate in un
luogo dove di solito persone raccontavano cose pazzesche ai loro psichiatri di
fiducia. Noi lì isolati come educatori-scrivani, sfruttando l’assenza per ferie
della gran parte degli addetti asl, eravamo curiosi di noi e del mondo e aspettavamo
che il tramonto arrivasse, per tornare quieti nei nostri cari paesi oscuri. Era
ampia quella stanza, e noi la colonizzavamo tutta coi nostri sandali provati da
tuscolane battute in solitudine. Caffè lunghi, gelati e sguardi paralizzavano
beatamente quei pomeriggi. Con lui avevo sempre voglia di raccontare in quei
giorni eccitati e vuoti d’estate, nel farlo cercavo di esorcizzare ogni male antico,
elencando la mia vita come indice di un saggio romanzato. Ecco, quest’amico che
vedo quattro o cinque volte l’anno; che sento tre o quattro volte al mese; con
cui scambio mail o messaggi ogni settimana, bene, questa bella persona, insieme,
ma non in contemporanea, ad altre quattro o cinque persone, l’anno scorso, nel
mio annus horribilis, questo amico mi
ha percepito in bilico sul filo dei giorni grigi: sotto avevo un torrente fognario
di pensieri. Non si può dire che mi abbia teso la mano, per narrare il
verosimile oggi dichiaro che quello non è stato propriamente tendere la mano; eppure, le sue orecchie, quelle sensibili
orecchie abbronzate, mi hanno saputo ascoltare così bene fino a contribuire a
far defluire silenziosamente tutta la merda sotto di me. Oggi sotto la mia
storia c’è un giardino di ginestre, ortiche e rose, e confido di creare un orto
al più presto. Pianterò finalmente un limone.
Tra vent’anni nelle serate d’agosto mi
sdraierò al centro del giardino, sotto al limone suadente, e leggerò le storie
ancora non scritte con una birra accanto. Nel monitor di fronte a noi immagini
che dissolvono serenamente il futuro accettato.
1 commento:
Un amico diafano:)
Posta un commento