foto di luigi ghirri |
L’altra sera mi
sono visto Piazza pulita. Ho subito un surreale dibattito con Grillo in una
piazza che urlava contro La7 e i suoi giornalisti e i giornalisti in studio che
parlavano di Grillo che ce l’aveva con loro. Tre ore così. Il tema strisciante
che straripava dal video era l’impossibilità di vivere in un futuro decente
per le prossime generazioni. Quest’ultima frase ronzava nella mia testa e mi
ha costretto a stare sveglio fino alle tre. Giravo per casa a caccia di
tranquillanti naturali: osservare i miei figli dormire sereni; intuire nel buio
mia moglie placida e sognante; camomilla; pc a ruota libera; aprire la porta e
sentire il buio sulla pelle. Poi, stremato all’idea che alle sei mi sarei
dovuto svegliare, ho preso d’istinto un libro di Carver e mi sono letto il suo
ultimo racconto: quello che riguarda gli ultimi giorni in vita di
Cechov. E leggendo del brindisi dei personaggi col cadavere ancora caldo
davanti, in una stanza all’interno della foresta nera, allora, chissà perché, in
quel preciso istante ho pensato alla caducità come elemento che condiziona
tutto quello che facciamo. Incluso osservare inebetiti un programma tivvù, in
cui si recita il rancore e la banalità. Se si vuole, tutto questo può
arrestarsi, lasciando entrare nelle nostre teste il peso della bellezza (cit.) della
vita. Fuori le scorie dalle nostre storie, ché alla crisi siamo già abituati da
un pezzo, coi nostri mille euro al mese abbiamo costruito un mondo fantastico e
privo d’invidia, di dolore e umanità come grappoli allegri che scendono su di noi.
L’indomani
mi sono svegliato con la bellezza di Carver nei polmoni, e con la giornata che
prendeva forma di rosa, ho sorriso in silenzio a tutti i bimbi che mi
capitavano davanti, poi ho preso un caffè lungo chiudendo i conti con la notte.
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