Mi vedo che scorro
lentamente davanti alle immagini di
Luigi Ghirri, e sono pensieroso a causa della luce di
neon filtrata in alto da teli bianchi, e mentre fisso le prime foto mi viene
da chiedere a
Claudio: ma è così difficile illuminare gli spazi espositivi?
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Orbetello, di Luigi Ghirri |
Dopo
questo inizio nevrotico, un po’ da snob di periferia, mi arrendo ai miei occhi che
intanto lasciano entrare una alla volta le foto tratte dai progetti che Ghirri
ha creato nei suoi anni di ricerca. Claudio mi ricorda che fu lui a
comunicarcelo nel ’92, nello studio di Luciano Ricci, della morte improvvisa
del fotografo che amava il quotidiano, e i dettagli che sfuggono come bimbi
timidi, e poi quelle facce e quei profili che scompaiono di solito quando sanno
di essere fotografate, lasciando soltanto il
solito sulla stampa. A un certo punto Thomas – studente belga di storia
dell’arte - mi becca mentre sorrido davanti alla foto della trattoria di Ponza,
e mi chiede perché lo stavo facendo. Niente Thomas, sono contento di osservare da
vicino questa foto, che poi, a dirla tutta, è da una vita che volevo vederle
tutte insieme in una mostra, che sul catalogo Fabbri le ho viste e riviste
migliaia di volte, ma la lampada di casa era anche peggio dei teli filtrati del
Maxxi; questo a Thomas non l’ho detto, nevrotico sì, ma scemo del tutto ancora
non lo sono. Thomas l’ho conosciuto davanti a una foto, poi si è dissolto e
chissà ora dove sta riflettendo sul suo idolo che “gioca con le immagini”. Sono
rimasto dieci minuti a descrivergli del perché mi piaceva quella foto, e credo
di averlo fatto decentemente, senza scivolare nell’idolatria, nell’ovvio, credo
eh! Ma ora è tardi per scoprirlo, perché certa bellezza passa e lascia tracce
di tenerezza; poi prendi un caffè, accenni a una chiacchiera, un ricordo e torna
la quotidianità. Un attimo prima di questi momenti credo di sentire alle spalle
uno scatto di Ghirri che blocca e restituisce la scia che c’è tra il bello e la
nostra contemplazione solitaria. Noi osserviamo questa scia e capiamo, per un
attimo capiamo, ma dura un attimo e capiamo poco, così non ci resta che
riconoscere lo scorrere del tempo inesorabile che ci sfianca dolcemente, e
abbandonare la consapevolezza in cambio del ricordo della bellezza.
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Ponza, 1986, di Luigi Ghirri |
Sì, ora so che
le foto di Ghirri mi avevano tanto invaso la testa, che, pensando a quelle quattro
foto decenti che ho fatto nei primi anni novanta, non c’è dubbio: le facevo
pensando alle inquadrature di Ghirri, mica di Robert Capa. Ma non lo sapevo. Nelle
sue immagini ci sono pochi effetti e tanta intelligenza visiva, che si espande
nella sua semplicità disarmante e difficile da rappresentare: di strade, case, cantanti, i Cccp, spiagge, camicie, nuvole e nebbie, e infiniti dettagli di vita che scorre tra
le persone e di tutte le cose che si ritrovano intorno nel tempo. Senza di noi,
che stiamo lì davanti a questi attimi a fermare il tempo come dei bimbi nelle
loro camerette la domenica sera.
Così come certe
canzoni, queste foto restano dentro e si accomodano leggere tra i nostri
pensieri. Stasera desidero avere un libro di Ghirri tra le mani, sfogliarlo
lentamente, fermarmi a leggere le didascalie che sono pezzi di narrativa che non
aggiungono, ma completano l’opera, sottraendo senza eliminarne l’essenza: che
resta negli occhi, nel silenzio e nel prossimo attimo da godere.
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cccp, di Luigi Ghirri |
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Lucio Dalla, di Luigi Ghirri |
Vi
consiglio di
andarci al Maxxi, avete tempo fino al 27 ottobre. Il tempo poi scorre, e senza
le immagini di Ghirri non è facile farlo scorrere bene. Saluti dalla cameretta.