In questo libro ci sono
parole dure, scavate e scolpite per mostrare la costruzione di una relazione.
La prima parte è un vulcano: rabbia e solitudine, lava che non consola. Poi al
centro nasce un albero, frutto di cura e attesa. Il resto è uno scoppio di pianto
continuo, proprio perché trattenuto, che allaga lo specchio che tiriamo su per
guardare una realtà ostinata, che abbiamo
sempre temuto.
Stare nella diversità, praticarla
nelle sale d’attesa di medici o nelle assenze alle feste, diventa la condizione
di un’umanità sconvolta nelle viscere, non minoritaria ma nascosta. Valeria
Parrella già in “Behave” ci raccontava di persone dentro mondi piccolissimi, spesso
evitati o derisi. Lei raccontava senza preoccuparsene. Ho ammirato quel
racconto. Qui, dopo lo spazio bianco, si è aperto uno squarcio che non ha senso
tacere.
Le parole che mancano ad Arturo
diventano sofferenza, preoccupazione quotidiana, ma nel dialogo con Miranda
l’eccesso è gettato nel secchio ghiacciato delle statistiche. Dopo compare l’albero,
un logogrifo che ci fa respirare, e si attraversa il solco e il dolore comincia
a vestirsi di bellezza. Allora ce ne andiamo a spasso per un mare di parole più belle.
“Arturo non parla, ma pensa” dice con
saggezza una bimba. Poi sorprende un invito che riceve Arturo da Antonio: può
venire Arturo a giocare a casa mia? La madre intravede uno spazio nel mondo per
il figlio e si arrende all’emozione; per questa sua conquista, di Arturo, che è
forse pari alla traversata che fa sul ballatoio di casa. Il racconto si riempie
di vita, di caffè, di sguardi, e si allontana leggero dalla voragine iniziale.
Eccoci a un convegno in cui la
Superiorità della Madre - una lotta furibonda tra frustrazioni e conoscenza - è
mostrata oscenamente. Allora tutti sembrano ritirarsi, tranne la sua forza: evoluzione
della rabbia primitiva? I genitori dell’associazione sono ritratti accanto alla
narratrice, partecipano e determinano l’ultimo tratto del libro. Che culmina,
dopo averci fatto conoscere isole, mari, antichità e intimità, Ariel, il
botanico e il trambusto napoletano, in una passeggiata sul molo che diventa un
filo d’acciaio davanti a quella scuola gialla che frequenta felicemente Arturo.
Non si spezza più niente all’orizzonte: come coriandoli le parole dell’albero
ci accarezzano. E che fai non piangi anche tu a questo punto?
3 commenti:
Parole come sassi lanciati sul cuore,forza e disperazione che insieme camminano. L'ingiustizia e al tempo stesso l'orgoglio. Una madre e il proprio figlio "diverso",un figlio che parla senza parole,con voce muta. La distanza iniziale,distanza da ciò che non dovrebbe essere,diventa alla fine una vicinanza non immaginata.
E l'orizzonte è davanti a noi.
Questo è un libro meraviglioso come pochi sanno essere.
Sì Marina, questo è un meraviglioso libro.
Benvenuta! come ci sei capitata da queste parti?
Posta un commento