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venerdì 25 luglio 2014

Luisa non ci sta

foto di luciano ricci
Dopo cinque ore di autostrada nelle gambe e nella testa, entriamo lentamente nell’autogrill. Un paesone alle spalle, che lo scrittore anni settanta avrebbe demonizzato per le sue brutture. Invece io ascolto Massimo. Scendendo dalla macchina mi continua a raccontare “sai, poi l’ho penetrata, sdraiandola con forza sul cofano della macchina”. Sarà per lo scirocco sulla faccia, sarà per certi pensieri che mi stanno esplodendo tra la testa e il cuore, ma non ce la faccio più: ma tu fai proprio schifo, urlo con gli occhi di fuori. Lui sorpreso, e con quel sorriso da cugino maggiore mi fa: ma quella si era comportata male, mi aveva tradito e comunque stavamo ancora insieme. Lo spingo contro il cesto dei cd a 9.90 euro e scatto verso la zona pic-nic.
Il sole spacca in due l’intera piazzola. Siamo in pochi sotto quel sole, gli altri tutti all’ombra. Mi giro e vedo Massimo seduto a mangiare il panino che gli ha preparato la sua coinquilina. E’ sempre stato comodo nel guscio delle sue donne: la madre, la zia, la nonna, la fidanzata, la coinquilina. Lui fa il re. Abbiamo ancora due ore buone di viaggio insieme. Dopo questa incazzatura avrei solo voglia di dirgli che non lo sopporto più. Ma sarebbe peggio, perché comincerebbe a ripetermi di come siamo cresciuti insieme, di come ci fidiamo l’uno dell’altro da sempre, di come abbiamo fatto, e faremo, sempre le cose insieme. Era vero fino a ieri, oggi è diverso caro mio, questa storia di violenza contro Luisa mi sa che ci allontana per sempre. Anch’io ho amato Luisa; anch’io conosco Luisa; anch’io so che storia ha Luisa. Sapere, stare dentro le cose, conoscere i tragici segreti, e tutte le sue angustie passate: i cugini che la violentavano durante la sua infanzia. Ecco, l’ho detto, quindi, poiché so tutto questo, non ti perdono più. Mi sembra assurdo questo suo raccontare senza un minimo di pentimento, o di coscienza dell'ulteriore danno che ha procurato, no, caro Massimo, io faccio l’autostop e ti lascio proseguire da solo.
Eccolo che guida sicuro nella corsia centrale a novanta all’ora, e tutti quelli che lo sorpassano da destra che lo insultano giustamente; oggi non riesco nemmeno a cazziarlo come faccio solitamente. Guardo la strada e vedo la faccia di Luisa piegata di trasverso sul cofano che respira a fatica. Mi piombano negli occhi quelle parigine che ormai conosco anch’io, e subito dopo tutto quell’asfalto bollente che tiene in piedi la scena pietosa di Massimo che spinge soddisfatto; sotto c’è lei bloccata dalla sua mano e da milioni di anni di storia. E le donne di Massimo sempre a considerarlo come un re.
Stiamo andando a votare nel nostro paese d’origine: una commedia inutile votare un altro re circondato da altre mille schiave. E penso a mio padre: non l’ho mai visto dare una carezza a mia madre. E io, che amo Luisa da sempre, e adoro la sua fragilità, e conosco ogni suo segreto, sono costretto a piegarmi alla storia di questi uomini, e soffrirne anch'io. Sapevo già della violenza, sapevo dell’addio crudele che ha dovuto subire, ma sentirlo dalla bocca di Massimo con quel sorriso sghembo a esaltare il gusto di un gesto primitivo, be’, questo mi sta disintegrando la testa. Voglio picchiarlo.
All’improvviso prendo il volante e lo smuovo come un pazzo ridendo tutto il mio disprezzo sulla sua faccia di cazzo. Si spaventa, frena e mi da un cazzotto in testa.

Questo lo sto raccontando da un letto d’ospedale.  E Luisa non ci sta.

Scritto da Vita Amara, Edizioni Scriviscrivi, Collana Chepoitipassa


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