Seguo da tempo il suo blog dove narra le sue peripezie quotidiane con babyP, e intorno a loro
ci ho sempre visto anche una sottile descrizione
del mondo che diventava di volta in volta più grande o più piccolo a seconda
dell’umore, o dell’argomento trattato. Così, in un’assolata domenica mattina, sono
arrivato emozionato davanti allo scaffale in Galleria Sordi, con quella voglia
di stupore che mi assale quando la mia testa trabocca di curiosità per l’altro che hai frequentato solo attraverso le parole. E in questa mia
epoca brizzolata, non è poco per niente.
Ad un certo punto, nel capitolo La madre socratica, l’autrice
spera che non le mettano cicuta nel Crodino. Sta al parco insieme ad altre madri, forse scosse
dalle sue confutazioni che “con gli occhi sporgenti” incalza “cos’è davvero
importante per il futuro dei vostri figli?”, e loro a rispondere troppo sicure di sé:
imparare l’Inglese, il Judo, il violoncello, il ballo tribale… Ecco, scrivere
un libro da mamma non significa che sia solo per mamme, ovvio, ma le categorie
affliggono l’editoria, ahimè; qui invece si parte da un punto di vista personalissimo,
usufruendo di uno stile lieve e asciutto ma che sa scandagliare precipitando nelle cose vere della vita, facendosi strada con la lente della filosofia. Così si va a sbattere contro delle verità che fanno a botte col dubbio. Ed io, confuso d’attesa, prendo
alla lettera ogni quieta incertezza di questo splendido libro. E mi siedo e aspetto
speranzoso un nuovo capitolo della scrittrice Vittoria Baruffaldi.