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domenica 11 dicembre 2016

Tappi di vita (2°episodio)

   Avevo convinto i miei compagnetti a giocare coi tappi lungo il marciapiede dietro la curva di casa mia. Accanto avevamo le auto parcheggiate di sbieco, in discesa, e noi stavamo sdraiati e schiacciati in quel metro scarso a gareggiare ognuno col suo tappo più veloce. Mi ero inventato questo gioco, reclutando amici con cui condividerlo: uno era altissimo, un altro enorme e grasso, un altro ancora bassissimo e tutto peloso. E c’era pure uno viziatissimo dai genitori, figlio unico, e antipaticissimo ma con una casa piena piena di giocattoli. Avevo scelto un gruppo strampalato per la mia vocazione alla santità, anche se, per onestà, ero soprattutto un bambino curiosissimo e con la brama di avere più giocattoli a disposizione. In quegli anni in famiglia ricordo un clima sereno seppur appeso a un filo malato: ero incollato a loro eppure sempre in giro a esplorare il quartiere. Ma di giocattoli ne avevo davvero pochi. Coi tappi inventavo un mondo tutto mio insieme a compagni che gli altri gruppi respingevano, deridevano: a me invece piacevano da matti. In ognuno cercavo la deformità che mi mancava ancora. In psicologia pare si chiami empatia, per me in quegli anni era il meglio che riuscivo ad avere, ad amare. Le gare coi tappi iniziavano dopo la tazza di latte del risveglio e terminavano poco prima delle sarde arrostite del pranzo: dentro questo segmento di tempo c’erano silenzi di “pestecchie” che fiondavano i tappi in fondo al marciapiede di porfido. Quando cadevano dal marciapiede bisognava ripartire dall’inizio: un gioco interminabile, che mi serviva a trattenere la tensione di quell’amore. Sentivo quel tempo come il migliore a disposizione, sentivo che mi era toccato di giocare coi tappi come se giocassi a vivere come gli altri.

   Me ne tornavo a casa con la scatola piena di tappi con quel lontano profumo di birra e di uomini prepotenti che l’avevano bevuta, gli stessi che molestavano le marines americane nei night club la notte. Io all’epoca non lo sapevo, sentivo solo quella puzza di violenza e d’orgoglio, e me ne scappavo di corsa a casa, dove mangiavo e ascoltavo, prima di accovacciarmi sorridente nel letto fresco zeppo di sogni.


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