L’alberghetto
era fermo all’ottantasei, e il gestore Angelo assomigliava ad Adolfo Celi con
gli occhiali. Lo spazio relax consisteva in un biliardo appiccicato al ping pong,
una pista tonda e legnosa dove non ballava nessuno e un flipper accanto al
divano di pelle. C’era una palestra di cyclette disposte di fronte a una
lavatrice, con attigua una sauna che abbiamo sfruttato in una mattina di
pioggia. Ho sbirciato un Corriere della sera il primo giorno, stava su un
tavolino nella hall, ma non era dell’hotel: la moglie annoiata del gestore, che
leggeva Mastrocola, ci si è fiondata su appena mi sono allontanato. Era un
hotel che somigliava a quegli autogrill-ponte sull’autostrada, ma di legno. Si
mangiava bene, e si stava spersi e sereni come in una vera vacanza bisogna
stare, almeno per me.
Abbiamo fatto tante passeggiate. Il piccolo arrancava, e mi ricordava il piccolo Apicella in Palombella rossa. Il grande ha mostrato una resistenza commovente: merito del rap? Mia moglie respirava come Maiorca. E io? Osservavo e speravo che l’idea vacanza in montagna reggesse alla prova dell’escursione. Ha retto, e ci ha portato fino a 2200 metri.
Abbiamo fatto tante passeggiate. Il piccolo arrancava, e mi ricordava il piccolo Apicella in Palombella rossa. Il grande ha mostrato una resistenza commovente: merito del rap? Mia moglie respirava come Maiorca. E io? Osservavo e speravo che l’idea vacanza in montagna reggesse alla prova dell’escursione. Ha retto, e ci ha portato fino a 2200 metri.
Ho
convinto il grande a salire in cabinovia a patto che ascoltassimo in cuffia il
suo amato Rancore: avevo tanta fifa anch’io.
La Val
di Rabbi con le sue sparute casette, mezza abbandonata rispetto alla Val di
Sole, ci ha fatto desiderare posti così appartati per le future vacanze. Invece
stavolta stavamo in una zona da sciatori ma senza neve, anche se la clientela
sciancata dell’alberghetto ci è ripiombata nelle nostre tendenze umanissime di
radiografare le vite di persone barcollanti, anche in vacanza, anche quando
sembrano più spensierate. Mi è piaciuto da matti contemplare le interazioni
della famigliola con lo zio un po’ sciroccato al seguito. O quando al marito
della toscana è partito un video porno a cena, e disperato non riusciva a
bloccarlo. Oppure certe coppie precisine coi figli tiranni: le loro facce
imploranti, le loro fughe attraverso il chiacchierar del niente eterno. C’era
una bambina, Celeste, che sicuramente Kubrick l’avrebbe inserita in Shining,
escludendo le gemelle, poiché emanava mistero e dolcezza in eguale misura. Al
personale dell’albergo ho dedicato i migliori sguardi, i migliori ascolti
emotivi. Nella testa avevo Youth, e cercavo famelico un Caine da fissare.
A un
certo punto la guida alpina, al rientro da una visita a un laghetto alpino, ci
ha fatto scendere attraverso una pista da sci, d’erba. Un’anziana insegnante si
lamentava della caviglia: mi sono girato e ho visto decine di persone
coloratissime su sfondo verde arrancare con dignità in discesa libera. In quel
momento, avessi avuto forza e più coraggio immaginativo, li avrei presi uno a
uno in braccio e riportati alla base, accanto alla pasticceria.
In Val
di Non, vicino al castello di Thun, ho mangiato una mela dopo circa quarant’anni.
E. scendendo dall’auto ne ha colte due al volo da uno dei milioni di alberi che
c’erano, il gesto ha eccitato il piccolo, che poi mangiava e rideva sfrenato
mentre gli mordevo la mela, creandoci su rime allegre sul meleto.
Ridere,
ci ha salvato ridere.
A
Trento, finalmente per il Muse, mi sono fissato e commosso davanti ai sassi
decorati tredicimila anni fa. E poi abbiamo giocato con leve e vortici,
osservato galli forcelli e camaleonti, e sudato in salita nella serra
tropicale. Anche nel centro desertico di Trento si sudava, e poi al rientro,
dal trenino, ho ammirato i vigneti come un unico tappeto infinito, che da
Mezzocorona a Cles mi hanno riempito gli occhi a tal punto da farmi scrivere
tutto contento di treni e di mie vecchie fughe, su google Drive, e con una mano
soltanto.
In quei giorni il grande mi disegnava a furia di racconti i suoi sogni di produzioni rap, di etichette e magliette, dove imprimere la sua carica creativa. Lo osservavo e pensavo alle Piccole virtù: a volte arrivano all’improvviso, dopo tempeste e pianti.
In quei giorni il grande mi disegnava a furia di racconti i suoi sogni di produzioni rap, di etichette e magliette, dove imprimere la sua carica creativa. Lo osservavo e pensavo alle Piccole virtù: a volte arrivano all’improvviso, dopo tempeste e pianti.
Illusioni,
quelle che ci hanno tenuto saldi e felici in montagna.
Abbiamo
percorso trenta chilometri in bici a trenta gradi, scioccanti per quei posti,
lungo il torrente Noce. Stabilendo un’impresa, un record per famiglie non
allenate e stressate da lunghi inverni urbani. Ci siamo abbracciati con gli
occhi, mentre riportavamo soddisfatti le bici al noleggiatore stupito.
Non ho
usato internet in quei sette giorni, e vivevo in un’iperrealtà famigliare che
mi sorprendeva. Riflettevo: potrei vivere in eterno così, mentre provo a
fermare il tempo, riducendo le angosce, riuscendo a moltiplicare gli affetti.
Poi al
rientro in una galleria infinita sulla variante di Valico, mentre sorpassavo un
tir, a questo bestione scuro è esplosa una ruota accanto alla nostra auto. Un
boato. Abbiamo tremato: E. spaventata non riusciva a parlare, il grande pensava
fosse un interferenza audio in cuffia e il piccolo silente non capiva. Sono
stato bravissimo a tenere strette strette le mani sul volante, a non frenare, e
a dire a E. di chiamare il 112. Quando scavallo i miei evidenti limiti, mi
sento bene come un leone sazio. Poi ho
virato verso l'autogrill Cantagallo, dove abbiamo sublimato la mancata visita a
Bologna per troppo caldo, con una mangiata di tortellini e amatriciane squisite
già dal desiderio: ecco la foto delle nostre facce davanti a quelle padelle
fumanti. Clic.
Alla
fine è stata la vacanza meno aggressiva mai esistita per noi. L’evoluzione ci
ha spinti a credere nelle intenzioni buone, come il bisnonno Neanderthal
abbiamo voglia di sotterrare asce e smartphone saturi sotto un piccolo pino
cembro, come i furbastri corvi quando nascondono i loro semini ai piedi dei
Larici.
Alla
fine siamo rientrati abbronzati e salvi nella nostra capanna romana di cemento
e glicine, dove aspettare un altro inverno, non prima di andarci a tuffare per
qualche giorno nel nostro vecchio Tirreno blu.
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