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lunedì 17 gennaio 2011

vinco io, a tavolino.

Non sono quello che rappresenta la mia faccia. A volte sì, e allora è un’epifania ritrovare di fronte sorrisi e parole dolci. Ma solo allora.
In un tempo che sembrava tremendo, ma che in fondo era solo burrasca di giovinezza, c’erano dei giorni che non mi guardavo neppure allo specchio. E i capelli scendevano come rizomi infestanti sulla mia pelle.
Oggi sono aperto come due ali di farfalla in una mattina fredda d’aprile.
Aspetto con generosa pazienza il mio turno.
Sento un enorme fastidio, già gravido di presagi oscuri, intorno al mio tempo. Io resto qui, seduto su questa panchina umida ma accogliente. In fondo, non ho mai chiesto troppo. Sbilenco poi ci so stare, e attraverso uno sguardo da uomo tranquillo, lascio intendere un fare pacioso e per niente collerico. Ma dentro a volte le fiamme sono spente da anni e anni di storie finite male, che diventano umide di lamento e bagnano tutto. Fuori neanche una lacrima, solo sorrisi un po’ tonti. Di creanza.
Va bene così, lascio agli altri la ferocia al sapore di napalm, che gelidi spalmano sul terreno altrui. Sui pensieri degli altri. E la merda a far da corollario.
Mi obbligo a non obbedire al male. A questo male superficiale. Mi accontento del groviglio malefico con cui faccio i conti ogni notte. Poi le furibonde lotte di mantelli inceneriti e maschere incancrenite. Lotta impari che mi schiaccia al muro del letto. Un urlo al buio. Poi l’alba spazza via le tracce. Le rughe della mattina, increspature di sorrisi abbozzati, pareggiano i conti con la storia. E il giorno è un’attesa di redenzione, aspettando la notte della perdizione.
Ad oggi vinco 1-0 a tavolino. Del pc.

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