Domani va al paese. Rivede per
qualche minuto il padre. Sono dieci anni che non lo vede. L’ultima volta stava
sdraiato all’ospedale, con un taglio di luce che non gli piaceva affatto. Intanto
il figlio piccolo comincia a leggere, e mentre lo fa, sillabando su due piedi,
la moglie riprende la forma di un tempo. Quello della serenità stretta alla
gioia.
I capelli cadono giù nel gorgo degli
scarichi e lasciano solo un ricordo di tempo scapigliato. Vedessi che faccia ha
oggi, vedessi i suoi occhi sempre più scavati dai passi falsi dei giorni; ma
che forza quelle braccia, e chi l’avrebbe mai detto.
Sale un passato che non vuole essere
in bianco e nero e allora lotta con fare camaleontico contro lo sbiadire dell’affetto.
Non c’è abitudine né scambio di sguardi. Non c’è, e si sente.
Un dirigibile attraversa il cielo del
tirreno e vede un bambino col desiderio di vedere un dirigibile. Un sorriso
increspa il mare e disegna il suo senso: beffardo canta il ritorno dei
desideri. Questa era facile, come lo era ricoprire quel lenzuolo lindo senza
calore in quella stanza blu.
Un parcheggio enorme e vuoto aspetta
le carcasse. Una donna sola che ride appoggia il gomito per un attimo, e nel
farlo sta quasi per cadere nel vuoto; un uomo ormai vecchio la prende per mano
e la riporta giù al porto del marito. Deve ancora partire per le americhe, deve
ancora aspettare suo padre. Lei, che bambina non è mai stata, ora vuole esserlo
e facendolo scompagina ogni pronostico di sciagura.
Va, colora le strade col tuo fiato, e
cerca un posto davanti a quei platani appena potati. Poco più in là vede un bambino che corre con
le figurine in mano.
Il bianco avorio dei tuoi resti è là
che si veste di un’idea.
Prova a spiegarla.
Prova a vederla.
1 commento:
Mi piace , mi piace come scrivi. Mi ci fai stare dentro, come penso agli altri che ti leggono. Bello questo scorcio e bellissimo quello sulla new wave , bologna e i cure. Grazie Pe, mi fai venire voglia di scrivere.
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