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venerdì 18 novembre 2011

per te


Domani va al paese. Rivede per qualche minuto il padre. Sono dieci anni che non lo vede. L’ultima volta stava sdraiato all’ospedale, con un taglio di luce che non gli piaceva affatto. Intanto il figlio piccolo comincia a leggere, e mentre lo fa, sillabando su due piedi, la moglie riprende la forma di un tempo. Quello della serenità stretta alla gioia.
I capelli cadono giù nel gorgo degli scarichi e lasciano solo un ricordo di tempo scapigliato. Vedessi che faccia ha oggi, vedessi i suoi occhi sempre più scavati dai passi falsi dei giorni; ma che forza quelle braccia, e chi l’avrebbe mai detto.
Sale un passato che non vuole essere in bianco e nero e allora lotta con fare camaleontico contro lo sbiadire dell’affetto. Non c’è abitudine né scambio di sguardi. Non c’è, e si sente.
Un dirigibile attraversa il cielo del tirreno e vede un bambino col desiderio di vedere un dirigibile. Un sorriso increspa il mare e disegna il suo senso: beffardo canta il ritorno dei desideri. Questa era facile, come lo era ricoprire quel lenzuolo lindo senza calore in quella stanza blu.
Un parcheggio enorme e vuoto aspetta le carcasse. Una donna sola che ride appoggia il gomito per un attimo, e nel farlo sta quasi per cadere nel vuoto; un uomo ormai vecchio la prende per mano e la riporta giù al porto del marito. Deve ancora partire per le americhe, deve ancora aspettare suo padre. Lei, che bambina non è mai stata, ora vuole esserlo e facendolo scompagina ogni pronostico di sciagura.
Va, colora le strade col tuo fiato, e cerca un posto davanti a quei platani appena potati.  Poco più in là vede un bambino che corre con le figurine in mano.
Il bianco avorio dei tuoi resti è là che si veste di un’idea.
Prova a spiegarla.
Prova a vederla.

1 commento:

Capitan vongola ha detto...

Mi piace , mi piace come scrivi. Mi ci fai stare dentro, come penso agli altri che ti leggono. Bello questo scorcio e bellissimo quello sulla new wave , bologna e i cure. Grazie Pe, mi fai venire voglia di scrivere.