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mercoledì 28 dicembre 2011

cosa significa sociale?


Il grigio della stazione Termini mi prende sempre la testa, e la sbatte giù, insieme a tutta la ciclotimia di stagione che, come i saldi anticipati, quest’anno neanche aspetta i bilanci di fine anno. Neanche. Poi scende un pensiero che riporta a galla parole acide che non vorrebbero uscire mai di bocca; quindi, scrivo.
Quella stretta camicia nera faceva splendere ancora di più quelle ombre sotto i tuoi  occhi scuri. Questo pensavo tempo fa: ma ora mi arriva solo il suono.
Compulso dentro questo blog alla ricerca di cliccate statistiche che raddrizzino per qualche giorno la mia autostima. Mi sento come un toast: schiacciato tra il passato e il futuro, lascio vedere il formaggio fuso per darmi un tono, per attirare topi…rosicchiare sarebbe un mestiere con un po’ di futuro, non come le concessioni pelose che fa il comune alle scialbe cooperative sociali. Che poi “sociale” ricorda tristi epoche, che mi portano fin dentro all’istituto per orfanelli che poggia come santuario del bene su splendidi colli, oggi non più malarici. Sento le urla di quelle bambine, e il loro incessante aspettare di rabbia famiglie o orchi, piuttosto di stare là a dare potere a preti e suore che la storia farebbe bene a scacciarli via: nel gorgo del male di dittature reali o di fatto. Le sento, dicevo, e stavolta non mi tappo le orecchie: mi faccio forza e provo a testimoniare almeno le scorie di quei misfatti sulla pelle di quei bambini. C’era la guerra e il male dava forma a giustificazioni ancora oggi sopravvissute. Non darò nessuna gloria al boia, mentre mostra i suoi muscoli “sociali”; ma solo di facce, ombre e corpi stretti in camerate piene d’ingiustizie mi resta da scrivere. Domani, che oggi barcollo in maniera penosa.


1 commento:

Capitan vongola ha detto...

la metafora del toast è magnifica. magnifica!