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domenica 11 dicembre 2011

il rifugio


Avevano deciso di fermarsi lì, in quella specie di rifugio colonizzato dai pastori della zona. C’erano stati l’anno prima, quasi per sbaglio, e l’avevano trovato un posto accogliente, tra quei monti desolati. L’Abruzzo, tra boschi e radure, faceva venire voglia di passeggiare. E riflettere. Lo dicevano spesso in ufficio.
“Caspita quanto è buono ‘sto pecorino. Mi sa che me lo mangio tutto”.
“Occhio che i pastori non perdonano. Ti tagliano la gola e ti appendono al chiodo”.
“ Gianni, ma io sono amico dei pastori; al limite appendiamo te, e chiediamo pure il riscatto a babbo ricco”.
“ Daje co’ ‘sto fatto che so’ ricco. Mica siamo gli Agnelli, tanto per rimanere in tema”.
“ Sarai pure un po’ figlio di papà, vuagliò, ma sei pure assai simpatico”.

Gianni russa soddisfatto, il vino era riuscito nel suo intento consolatorio. Antonio invece ancora non si addormenta. Vede il soffitto con le sue travi che si conficcano nell’intonaco e poi la parete a destra piena di foto ingiallite;  a sinistra il letto dove Gianni dorme beato, che confina con l’ingresso: solo una tenda separa la stanza dalle scale. Fuori i cani maremmani abbaiano sempre di più. L’orologio è fermo alla parete: le lancette segnano le quattro. Chissà di quale giorno, o di quale notte. Lo sguardo di Antonio percorre come tergicristallo sul vetro asciutto l’intera stanza tonda.
Un minuto dopo pareva un lampo. Passato nella stanza.  La finestra  sul cortile  rendeva chiuso tutto il resto. Non si vedeva altro che una legnaia, un po’ trascurata.  Lo sterrato che gli aveva portati là, scendendo il sentiero tra i faggi giganteschi, ora era al di là della possibile visuale. Ma se lo ricordava bene: nel pomeriggio mentre si avvicinavano gli tremavano le gambe alla vista di quei cani enormi col pelo arruffato. Gianni, che non aveva per niente paura, con il suo fare calmo e deciso aveva permesso il contatto pacifico tra i due gruppi lì presenti. Loro due e quei quattro cani bianchi. Intorno silenzio di alberi. L’abbaiare ripetuto dei cani agita nel letto Antonio. Sente anche altri rumori: pentole che cadono sulla pietra viva e le zampate dei cani che grattano sul portone d’ingresso. Per tutta la serata nessun pastore si era visto. L’altro anno invece, dopo un’oretta che stavano lì, in cui avevano mangiato formaggio e poi una squisita crostata di visciole, era arrivato un pastore. Con lui avevano chiacchierato dei problemi della pastorizia nella regione e della solitudine della loro condizione d’imprenditori operai. Lo avevano ascoltato come si ascolta un audio libro. Poi, prima del tramonto, si erano avviati verso il paese. Quest’anno gli andava di restare lì. Da tempo avevano voglia di stare soli tra le montagne, passarci un’intera nottata a parlare e bere, seppure dentro a un comodo rifugio che alla porta non aveva chiavi. Glielo aveva detto il pastore: qui può stare chiunque ne abbia piacere. Quel chiunque non spiegava nulla ad Antonio in quella notte di silenzi colorati di rumore. Gli era venuta la solita inquietudine che anticipava l’insonnia, era da qualche mese che gli capitava. Aveva voglia di scendere giù per farsi una camomilla. Almeno tre volte ci aveva provato: arriva alla tenda, la sfiora, ma non la apre. Sente i cani, il loro ringhiare davanti al portone. Perché?
Guarda il corpo infagottato dell’amico e s’immagina suo fratello bambino, e subito dopo pensa all’antica volontà di dare un taglio alle sue sventure. Una corda al lato della stanza, poco prima della tenda, non tiene nulla appeso al suo tondo gancio. Guarda la finestra e il pensiero della sua impasse si staglia e non va più via. Per qualche secondo i cani non si sentono più, ora è il vento che scuote la scena. E poi voci concitate sempre più vicine. Una voce roca si nota più delle altre. Sfiorano i faggi e scendono veloci verso il rifugio. Antonio intanto pensa alla sua sfortuna che prende forma di persone assurde contro cui ha combattuto assurde battaglie di potere. Le ha perse tutte. Il gruppo di uomini entra. Accendono la luce, si muovono sicuri intorno alla dispensa e al tavolo rettangolare. Antonio si accorge di loro. Uno degli uomini comincia a urlare parole sguaiate. Antonio si fionda davanti alla tenda, allunga le orecchie fino al piano di sotto. Non capisce bene cosa si dicano. Parlano, parlano in continuazione come se dentro a una discussione; partita chissà quando, e di certo, non ancora terminata ora davanti a quella pagnotta affettata per bene, col coltellaccio usato prima da loro due. Uno di loro maledice quelli che si sono “magnato” tutto il formaggio. Intanto sente che mangiano qualcosa, forse il salame o la scamorza che pendeva davanti alla credenza. Sfiora la corda che pende nell’aria, evita il gancio e per poco non cade nella tenda. Le urla aumentano di sotto. I bicchieri di vino si svuotano come i pensieri di Antonio. Neppure il vento si sente. Un attimo di vuoto. A un tratto compare sulla parete l’immagine della cuginetta che inseguita da un uomo si accascia davanti a lui. Ragazzo, che la accoglie e ascolta lo sfogo di ferite che umiliano. Un uomo urla più degli altri e racconta di “mazzate” che ha dato la moglie l’altra sera. Questo capisce da su, e non vorrebbe capire altro e nel farlo capisce di più. Nella testa l’ossessione della cuginetta esile e disperata. Le voci di sotto raccontano di risse e lezioni date a chi lo meritava. Ancora le parole amare della cugina, che raccontano di quella persona che lui conosceva bene. Troppo, per vergognarsene ora. Colpi potenti sul tavolo spengono ogni discussione, rimettono le voci a posto e si riforma il coro urlante. Doveva dirlo alla madre, delle ferite, della cuginetta, e di quella persona. Sente uno schiaffo? Forse sono pacche amichevoli. La madre lo avrebbe ascoltato bene e poi avrebbe riferito alla sorella - la madre della bambina - e magari denunciato quella persona. Adesso uno degli uomini mima un amplesso, si sente il coro che tifa per la prestazione simulata. Imitano la voce di una ragazza, che dal falsetto che usano, sembra giovanissima. Ogni volta che ha visto una violenza si è tappato le orecchie. La madre l’avrebbe ascoltato, magari con gli occhi lucidi, ma l’avrebbe fatto fino alla fine. Poi sarebbe andata dalla sorella, se fosse stato presente pure il cognato sarebbe stato ancora meglio. Già. Finisce la recita di sotto, e ricominciano a mangiare e bere. L’ultimo pensiero va sul seno della cugina descritto da suo fratello alla madre, scorticato da chi? Stremato si allunga sul letto. Le urla sono intervallate da risa convulse. Una radio si accende e diffonde canzoni melodiose. Gianni si sveglia, si alza dal letto e attraversa la tenda. Scende di sotto, si presenta e nel giro di qualche minuto si ritrova a bere grappa con i cinque pastori. Una fetta di crostata era avanzata, il ragazzo la divora e non si ricorda di Antonio, che intanto si è addormentato e non sente più nulla.

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