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mercoledì 14 marzo 2012

margherite


Fino a ieri parlavo molto e scrivevo peggio. Oggi sono più sereno: aspetto. Anche se è attesa di cani randagi. Di uomini tutti di un pezzo. Nessuna affascinante scrittrice alla porta. La Parrella scrive da dio. Nessun amico magro a cercarmi. Lo so, state tutti intenti a nuotare verso spiagge solitarie.
C’è stato un tempo, incipit alla Ferretti, in cui scrivevo delle cose davvero tristi, pensando, forse, che alla lunga la tristezza avrebbe pagato; possibile che lo immaginavo come s’immaginano gli angeli, le principesse o le scope volanti?
Mia madre non mi parlava mai dei sogni. I suoi li vedevo cadere dagli occhi ogni giorno, fino a quando non si è messa a piangere tutti i pomeriggi, dopo il caffè.
Avevo tanta timidezza da offrire in certi pomeriggi, e non passavano mai. Mi sforzavo di parlare bene, al punto che una ragazza molto più grande di me, avevo quindici anni, con quel suo corpo che mi annientava, mi disse: ma tu non sei di Gaeta? Ma come, a parte un giorno a Roma e uno a Napoli, più il giorno della nascita a Formia, non mi sono mai allontanato da questo posto; insistendo: è che non sembra, parli bene, senza accento. Per me equivaleva a una pomiciata. Che non c’è mai stata. Come con quella roscia, anche lei più grande di me, che mi carezzava ogni volta che la incrociavo per strada. Mi faceva svenire. Una volta, durante questi sfregamenti discreti, presi un cazzotto da un delinquente del paese: era ubriaco e mi chiese pure scusa! Stordito, sono scappato a casa a farmi una pippa. Che non si sa mai, dovesse svanire l’effetto della roscia, pensai con tutto il dramma di quegli anni. Malati di adolescenza, quegl’anni scorrevano a tremila verso fughe pianificate a gambe all’aria dentro un letto unto di formica beige. Maledette gambe all’aria, ci volevano piedi a terra e ragazze d’amare tutte le mattine. Eh! Ci voleva sicuramente una voce dolce e potente a sbarrare le mie brame, d’immagini in bianco e nero da colorare.
Oggi nel mio quartiere periferico e un po’ paesano, appena fuori dal pianeta Roma, mi era parso di vedere persone di Gaeta che conoscevo, vagare sognanti anche loro. Una leggera dissociazione d’amore per un passato che resta sempre parallelo, nella sua giusta e irrevocabile distanza di rabbia, dal mio migliore presente possibile.
 
Questo mi ha raccontato stasera Antonio, poco prima dell’aperitivo, davanti alla piazzetta brulla dietro casa mia; più in là, oltre il marciapiede che chiude a ferro di cavallo tutto il circondario, c’è l’enorme vallata di fabbriche a tinta unita che galleggia prima della tanta pioggia agognata.


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