Mio padre aveva un corpo tozzo di
muscoli e nervi, io no. Aveva uno sguardo torvo e penetrante, io no. E mi
voleva bene, questo senza corredo di parole, poiché quelle poche che utilizzava riguardavano
debiti, ingiurie o litigate con mia madre. Ma anche battute fulminanti o accenni di canzoni
a tema - se pioveva ne aveva un paio all'occorrenza - e suoi dolci ricordi d’infanzia. Riusciva a recuperare, l’affetto intendo,
con lunghe passeggiate silenziose che a me apparivano mete graduali per
arrivare all’amore totale. Solo per me. Così non era, ma ricordo la sua gioia quando capiva che lo ascoltavo fremente la sera sotto le coperte: racconti tragici o comici, di paura o
realmente accaduti. Storie. Mio padre era semi-analfabeta, ma leggeva tutte le
riviste accumulatesi durante l’inverno, che mia zia da Roma portava al paese.
Tutte. E le rileggeva pure; avesse avuto dei genitori sensibili almeno la
“Domenica del corriere” gliel’avrebbero comprata. Invece, solo fatiche di mare.
Io leggo, da sempre, anche se a scuola in italiano avevo al massimo cinque. E
la grammatica sta a me come la legalità sta a Berlusconi. Mio padre non mi seguiva coi compiti, gli interessi o gli stimoli che gravitavano intono a me, e
io, spero, invece di farlo coi miei figli. Ma è un altro discorso, un’altra
epoca, altri figli. Inutile leggere la storia come se fosse una strada lineare
e priva di buche…Quest’articolo mi sta facendo riflettere molto e quasi
spaventando dal piacere. Ma cosa scrivi? Cosa stai aspettando?
Lasciarmi andare verso strade già calpestate e
lo stesso amare la vita come un topo ama rosicchiare la guaina isolante del tetto.
Qualcosa dentro ci sarà, allora rosicchiamo il più possibile e facciamo tanto fracasso ché tanto
una trappola prima o poi ce la becchiamo pure noi.
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