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domenica 24 marzo 2013

eri una canzone muta


La stanza con le tapparelle abbassate è luminosa. Sdraiato e scomodo, ti guardo il collo scoperto mentre le scarpe restano sospese nell’aria per alcuni secondi, poi s’immolano pesanti sul cotto scurito dagli anni, e il tuo sospiro accelera incauto. I corpi si schiacciano tra il muro e il letto a una piazza, le lenzuola definitivamente a terra. Una stampa di Van Gogh mugugna sbilenca. Le mani, quelle mani che hanno sfiorato l’umido tra le gambe ora penetrano la pelle per sentirne il gusto tossico. Intanto le tue labbra gonfie di stupore baciano tutta la pelle per ridurne la febbre: i seni pogano silenziosi.

Amore, la prima volta che ti ho vista eri una canzone.

Le cuffie, quelle mostruose e rosse degli anni ’90, ti avevano già da un pezzo sussurrato: questo è l’inverno che ci consola.

 

Nella casa affollata di studenti, pensieri e alimenti rubati alla Coop, ci sono due corpi in lotta per l’amore eterno, quello dei libri, o quello dei nonni, poco importa oggi ai nostri muscoli in festa.

Da dentro a una foto in bianco e nero su di un letto di vimini obliquo, dove ti sdrai per il mio sguardo, dichiari muta: tranquillo, che un filo di solitudine vale una vita di carezze. Lo sappiamo e per questo lottiamo, e si sente nell’aria il vento di un piacere intermittente.

 

1 commento:

Capitan vongola ha detto...

bello e bellissimo il pezzo su Taccuino