Questi racconti
hanno un filo fragile che li lega: i personaggi gravitano tutti nel mondo della
musica, da outsider o precari, improvvisati o in declino. Che appare come un
mondo cui lo scrittore voglia suggellare con dei ritratti asciutti e memorabili.
Da sempre diffido di scrittori di canzoni che passano a scrivere libri di
narrativa. Da sempre aspetto che lo faccia qualcuno in particolare, da potergli
concedere il lusso di sfidare la mia patetica diffidenza. Non di certo mi
aspettavo che Mimì Clementi scrivesse questi
racconti. A volte aspettare è un po’ come annegare; invece questi racconti
emergono con freschezza salata, di un tempo chiuso, lontano, da cui congedarsi
con stile. Nei personaggi ce n’è di stile, nelle loro movenze o nelle loro vite
dissolute, e in certe scelte che disegnano un profilo, assai diverso da quello
che conoscevamo già. Questo pare che faccia Clementi, che già nei testi delle
sue canzoni, secche e aperte, mostra ritratti definiti da gesti o passi
illuminati da una luce di taglio. E mi pare un po’ come il muro che ho appena
tinteggiato, che quando ci sparo il faretto da sotto mostra tutte le parti non
rasate per bene e i buchi tappati troppo in fretta. Poi mi siedo e dal divano
vedo una parete uniforme e bella, e lo è soprattutto perché so di quante sfumature
compongono l’insieme, e il valore aggiunto sta nelle piccole crepe e nelle
ruvidità ricoperte di verde che ne alimentano la bellezza.
Questo libro di
racconti è limpido e fresco, nei suoi dialoghi misurati, nelle essenziali e sensibili
descrizioni degli ambienti e nella – sempre difficile - discrezione di mostrare
con dignità le debolezze umane, senza tacerle o esaltarle nel brodo della
diversità. Tutto appare difettoso nei personaggi, tutto barcollante e prossimo a
cadute la narrazione di certi ambienti. Niente appare di più, o sfocato, perché
ogni parola è a posto, ogni attimo è scandito con cura. Ecco, la forma si
fagocita ogni diffidenza e mi lascia godere dell’affetto che lo scrittore ha
nei confronti dei suoi personaggi: Fausto Rossi riappare come nella canzone
sotto l’insegna della Sony, ma con una dilatazione che lo restituisce ancora
più commovente. Marylin martoriata che risucchia dentro la sua morte ogni
presunta innocenza americana. La signora che chiede di essere intervistata e costringe
il giornalista e la sua morbosità a bassa tiratura a retrocedere davanti a una
vetrata di un ristorante cinese, dove la signora, attrice improvvisata in un
film su Glenn Gould, attraverso una sorta di affinità elettiva gli lascia
intravedere un grumo di amicizia, nell’ascolto e nell’attesa della reciproca
conoscenza. Bello vedere da dietro il giornalista-musicista che si aggrappa
alla signora di settantadue anni, arzilla di curiosità nel suo presente.
Capita spesso
che le parole colorino troppo le storie, soffocandole in anguste stanze, dove
manca la necessaria sfumatura. Quello che riesce a fare Mimì Clementi in questo
libro, sfatando diffidenze e pregiudizi che a volte mi costringono in scantinati
polverosi della mente, è quello di riscaldare i racconti senza incendiarli,
seppure le vite là dentro appaiono prossime all’autocombustione.
Grazie a Ettore
per avermelo prestato, alleggerendomi di un’inutile diffidenza.
4 commenti:
Avendo seguito il tuo blog e avendolo trovato piacevole, ti ho segnalato per il “Very Inspiring Blogger Award”. http://marisasalabelle.wordpress.com. Complimenti!
YEAH!
e ora dobbiamo beccarci un reading!
_ettore_
https://www.youtube.com/watch?v=j0E8p8I5cVI, tipo questo.
a presto!
Santa Minimum-Fax lo ha ristampato!
The Basketball Diaries - Jim Carroll
http://www.minimumfax.com/libri/scheda_libro/600
te lo scrivo quà perchè è attinente....
"Per tutto l'inverno dell'85
ho passato i miei pomeriggi di fronte allo stereo
in camera di mio fratello
ad ascoltare Wicked Gravity di Jim Carroll..."
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