Pagine

mercoledì 11 dicembre 2013

una cosa triste che cancellerò

     Scrivo su questo blog sempre meno, il motivo mi sfugge come mi stanno sfuggendo tutte le occasioni che avevo da cogliere in questi mesi. Scrivo questa cosa per scacciare la paura, ma lo sento che qualcosa si sta spegnendo.  L’ho intuito dall’assenza di commenti ai post, e questo, dài amico mio, qualcosa vorrà pur dire; ma soprattutto pensando alla fredda logica dei meriti che mi aleggia sulla testa, e all’assenza di oscure fortune all'alba: mostrarsi così in questo orticello di blog, è semplicemente vanità. Diciamocelo. E poi la vita mi assorbe, e le scelte non fatte mi obbligano a guardare al futuro come a un enorme e informe profilo da definire, da modellare giorno per giorno, con un sito o con uno sguardo: per inventarsi un lavoro che faccia rima con la mia storia, e con i miei desideri. Magari con delle scelte sensate: non sprecare tempo e rabbia per i Grillo di turno, o per alcuni amici che si stanno allontanando dalla mia sensibilità. A questi vorrei un giorno scrivere una lettera senza rancore, e con limature dolci, dove ammettere la mia resa da una condizione che si sta dissolvendo: quella antagonista-estremista-adolescenziale. Sto rischiando la solitudine, quella cruda, come quella descritta da Camilleri subito dopo aver capito che non poteva continuare a fare il fascista. Lui amava Gogol, gli scrittori francesi e obbedire solo a un libro, solo a un uomo, non lo poteva accettare più.  Così rimase tremendamente solo; lo raccontava con un tono commovente durante la presentazione del libro di Piccolo.  Aveva quindici anni allora lo scrittore siciliano ed io oggi ne ho quarantatré, ma, come la sua storia dimostra, non è mai troppo tardi per restare soli e rinascere. Piccolo nel suo libro racconta che Parise si ostinò, anche rispondendo ai lettori del Corsera, a non scivolare nel conformismo di quegli anni, i settanta, ma a viverli e raccontarli con semplicità e stupore. In quel tempo tutto esplose, ogni cosa cambiò, e lui mutava silenziosamente mentre i più urlavano senza fare nemmeno un passo, consolandosi nel sentirsi i migliori della classe. Ed io, che sono nato proprio nel ’70, come potrei oggi arrestare ogni cambiamento e finire, come sta finendo nel nulla la visione, sciagurata e castrante, di certi miei vecchi amici? Con i miei occhi ricurvi scruto la loro rabbia sfumare: un’enorme nuvola di retorica e gas.


Vorrei che i miei figli crescessero il più possibile lontano dalle mie ossessioni, passate e presenti, riuscendo a muoversi con gambe curiose e robuste, e braccia leggere pronte a raccogliere amore in ogni aiuola fiorita del loro tempo.

P.S.
Poi ho letto questa cosa qua (clicca) e la tristezza si è cancellata d'incanto.

3 commenti:

Elena ha detto...

Spero che non cancellerai troppo presto, se puoi. Vorrei rileggere tutto questo domani, dire qualcosa.

Elena ha detto...

Chissà perchè le scelte non fatte sono sempre una colpa o una vergogna, comunque macigni.
E quelle fatte un pensiero fastidioso, una resa.
I miei vari blog avevano assunto troppa importanza a un certo punto e ho cominciato a uscire da uno entrando in un altro cambiando pelle in continuazione, per mitigare il senso di vanità e di dipendenza.
La solitudine invece la coltivo con cura. Immagina cosa significa calpestare i confini di quella terra disabitata che è la vecchiaia di una donna.
E del resto alla fine se avevo domande mi hai risposto con un link.

peppe stamegna ha detto...

Grazie Elena! la tua attenzione fa svanire ogni vanità...
Sì,la signorina solitudine va proprio coltivata, altrimenti genera solo mostri.

ciao!