Cadute di mia madre, ricordi di mio padre:
sintesi del mio asciutto presente assente.
Come mi piacerebbe ogni tanto scrivere
così, di pensare così: fottermene di sembrare quello che sono davvero e
sfondare l’ignoto che mi aspetta.
Allora vi racconto questa al volo. Stavo ad Assisi con l’amore mio a
visitare basiliche e vicoli. Mangiare panini al salame di cinghiale, soccombendo
al cartello delle norcinerie: 4 euro a panino, arrenditi.
Insomma, si gironzolava nel borgo
della pace, spensierati e beati: si aveva ancora addosso l’odore dell’amore
ritrovato. Lei mi fa: andiamo a vedere anche S. Chiara. Ma no, faccio io, scade
il ticket del parcometro, e poi c’è la nebbia fino alle porte di Roma, e sai
che non mi piace guidare col buio e con la nebbia. Niente, ci vuole andare.
Comincio a innervosirmi, aumentando il passo. Entriamo nella la chiesa di S.
Chiara, al confronto delle basiliche francescane sembra una chiesetta
qualunque. Facciamo un giro veloce. Poi la stacco, dicendole mentre mi
allontano di raggiungermi con calma. Appena giro l’angolo comincio a correre.
Mancano tre minuti e poi mi tocca dare altri soldi al Comune di Assisi. Prendo
l’ascensore per il portico romano: un minuto. Batto il record di Mennea e
arrivo davanti alla macchinetta, scavalcando un’intera famigliola. Infilo il
ticket in scadenza. Ce l’ho fatta. Sudo di gioia. Mi chiede i soldi, e io con fare
mitteleuropeo infilo il bancomat. La macchinetta impazzisce: lampeggia tutta, si blocca il display. Allora pigio l’allarme sos, pensando sia il microfono per
parlare con un operatore. Intanto il bancomat non esce. Mi fermo un attimo per
ragionare: ho infilato il bancomat nella fessura delle banconote. Momenti di
terrore. La famigliola mi sostiene. Di colpo la macchinetta sputa fuori il
bancomat. Rimetto il ticket ma non mi bastano i soldi. La famigliola me li
presta. Infilo… scatta l’ora successiva. Sbraito. Maledico i santi dei
parchimetri, gli assessorati e qualche municipalizzata: bestemmie da cittadino
incazzato. Salgo su e minaccio l’omino barricato nel gabbiotto: perché non mi
hai aiutato! Lui bofonchia spaurito ed io urlo. Poi il crollo. Lei mi sta
guardando davanti al gabbiotto e gli faccio assai pena. Mi allontano in direzione
del borgo accanto alle carceri. Passeggio e penso: sono uno scemo, un
ossessivo e un finto pacifista. Basta un ticket scaduto e divento un mostro.
Con questo pensiero osservo i balconcini ordinati, pieni di fiori invernali.
Penso a come si rischia di far cazzate, di deludere i propri pensieri, la
moglie, e di cosa penserebbero i miei figli se mi vedessero quando mi comporto
così, nonostante tutto il resto che faccio.
Ritorno verso il parcheggio con una smorfia nuova sul viso, mi avvicino
al mio amore che diventa sempre più grande, a misura umana, e la bacio davanti
a tutti.
(la verità è che mi vergogno di
tutto, e negli anni mi sono sempre nascosto, ma oggi, pieno di fantasia e vuoto
d’ignoranza mi tuffo sul ghiaccio per danzare nell’acqua).
P.S.
Sto rivedendo un racconto del 2011,
ché mi sono accorto di averlo abbandonato ingiustamente. Avrei bisogno di farvelo leggere per capire se ne vale la pena risistemarlo. Contattatemi, così ve lo
invio. peppestamegna433@gmail.com
Grazie davvero.
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