Come se non l’avessi fatto di proposito:
scegliere tra i contatti quelli a cui far sapere i fatti miei, conditi di
velleità. Sono esaurito. Per la prima volta dopo le ferie d’agosto non ho
voglia di fare buoni propositi. Questa estate ho sentito tanta ansia, che mi ha
gonfiato le gambe, fatto crescere la barba e paralizzato davanti a un molosso
nero. Una volta in mare, a cento metri da riva ruotare di 360° e vedere due
delle persone che amo di più allontanarsi verso la grotta e io che, senza un
reale pericolo, le chiamavo e ruotavo ancora: poi si è riavvicinato il piccolo
e mi sono calmato. Sono fatto d’ansia e d’idee. E non riesco a essere pratico e
determinato. Intanto oggi mi sono ingolfato come il decespugliatore, e
scrivo a vuoto di figli e di fobie. Vi avrò stancato della mia normale
esistenza trascritta e vi avrò anche illuso di trovare ogni volta almeno una
cosa scritta bene, e vi avrò deluso leggendomi per l’ennesima volta senza
trovare neppure un po’ di fresco tra un periodo e l’altro.
A te
che ti fiuto come felicità in agguato, chiedo una tregua: non darmi più
possibilità ma parole lisce di risposta.
A te
che mi consideri amico amico, be’, a te chiedo di continuare a esserlo e
ricordarmelo in certe mattine di mattone.
A te
che curiosi e aspetti grandi cose, ti darei un bacio di pazienza e un abbraccio
chiassoso.
A te
che oramai mi sopporti come si sopportano le delusioni del sabato sera, ti
aspetto per un caffè, per ascoltare le tue belle confidenze.
A te
che non conosci l’odore delle mie braccia, e non vedi la mia faccia, ti
aggiorno appena mi trasformerò in uno splendore d’uomo.
A te
che capiti qui a forza di tirate di giacca, grazie, e perdona la mia
presunzione da quattro soldi.
Per
tutti voi noleggerò un pullman per attraversare mondi che assomigliano ai miei
racconti migliori di certe serate senza livore, e sarò sereno e dirò quello che
credo e scriverò quello che vedo e che immaginerò: scorrendo le vostre facce
tra i finestrini e le acacie, mi calmo e risorgo.
Dopo
tre ore.
Avevo scritto queste cose mentre la mia auto
veniva lavata a suon di musica araba. C’era un vento caldo, e provavo a
chiamare un amico che non sentivo da mesi, poi mi ha risposto con un Sms: ho
una paura muta di non sentire più voci bellissime. Così, una volta al
supermercato mi è salita una voglia di piangere davanti ai sottaceti.
Avere
una smisurata quantità d’ansia in circolo ti fa immaginare cose così: cani che
ti sbranano, persone che annegano e tu non riesci ad aiutarle, o la faccia di
un vecchio amico che sbuffa al pensiero che lo stai chiamando. Non è vero
niente, invece è vero il niente che trasforma l’aria e la bocca e le parole,
che deformano la mia faccia e la fanno diventare torva e brutta. Credimi, io
sono anche bellissimo, sensibilissimo, ignorantissimo: con una storia da
raccontare, questa è la mia vera e bellissima ambizione. Ecco, l’ho tirata
fuori.
A
questo punto devo capire se rivolgermi a uno psicanalista, a un editor o un
trapezista.
Il
giorno dopo.
Ieri sera mentre passeggiavamo intorno a
Castel Sant'Angelo, dopo aver cenato sul lungotevere, pensavo a come mi vedo
male, a come mi vendo male, a come cedo il passo alla vocina stronza: quella è
contenta che non abbia imparato l’inglese neanche quest’anno.
Questo
lo penso ora, poiché ieri sera, dopo cena, ho ascoltato due librai che
parlavano e parlavano dei libri belli, degli editori fetenti, e mille altre
cose che avrei dibattuto senza problemi, e invece me ne stavo lì a sfogliare
libri con le dita e annuire a questi due. Timido. Scemo. Vinto. Perso. Questo
lo vivevo ieri, ora sto qui con una forza improvvisa a scrivere di come recito
in società. Ecco, riuscire a trovare quella nervatura giusta per legare questa
mia forza-coraggio alla realtà-realtà, potrebbe realizzare la svolta di mangiarmi
l’ansia a colazione.
Il
giorno dopo ancora.
È appena passato il temporale e qui a Roma
sono riemersi i profumi, e le piante gocciolanti sembrano più verdi, e alla
tivù non ci sono notizie di razzismo. Oggi non ho ansia, sono ritornato al
primo lavoro, poi ho preparato spaghetti alle vongole. So che è una tregua, so
che l’ansia è una serpe ma oggi mi sento un uomo perfetto, fossi bravo e
scaltro lo dimostrerei anche sui social, o telefonando felice ad amici e
parenti: ma sono timido, e me lo tengo per voi.
Fine.
P.S.
Vorrei
cancellare questa lagna d’agosto con me che ballo Lou Reed mentre spazzo a
terra, lavo i piatti e fantastico sui mille anni che ancora vivrò. Trattengo
tutto, e riparto.
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