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domenica 16 ottobre 2011

quindiciottobrenero

Scendo dalla metro a S. Giovanni alle tre. Assolata e bella nella sua verde e monotona vastità. Salgo su verso la testa del corteo. Lo sento già da via Filiberto; m’incuriosisce vedere la testa di questo corteo, visto che in questi giorni non sono riuscito a farmi un’idea decente di cosa potesse essere, la sua testa, i suoi intenti. Avevo in mente solo tante facce somiglianti alle solite di ogni manifestazione, ma, stavolta, non ero tanto convinto di rivedere davvero le stesse. Ci spero ancora, in novità concrete e spiazzanti. Insomma arrivo lì, saluto Sonia che m’informa su fumi neri e facce brutte che avanzano. Mi ritiro, e arrivo al Melograno verso le quattro. Mentre allestiamo lo spazio per il laboratorio, che andrò a condurre per papà e figli, di massimo due anni, si sentono i primi boati. Vedo dalla finestra una signora dell’associazione che passeggia nervosamente, piagnucolando, nel giardino. Parla al cellulare, perché sta cercando di mettersi in contatto col figlio che sta alla manifestazione. Da lì a poco ci incolliamo tutti su Rainews24; immagini di panico e violenza. L’odore dei lacrimogeni s’infila nelle stanze ovattate. Noi sbigottiti stiamo rintanati in ufficio, un papà col figlio in braccio, pronto per il laboratorio, che viene richiamato dalla moglie a casa: è preoccupata mia moglie, vado. Ciao.  Cazzo, qui salta tutto. Un’altra che “tifa rivolta”, ma poi si angoscia, poi ancora farfuglia ricordi antichi e voglie di vendette al presente. Sbotto: lì è scontro fascista. Tutte e due le parti stanno giocando a chi fa più il fascista. Ma che cazzo significa fascista? Volevi facce nuove e parli di fascisti. Sei strano pure tu. Isoliamo la “facinorosa” melograna, e subito si apre un dibattito sulla mancanza di servizio d’ordine: una manifestazione così vasta e plurale non si attrezza con un minimo di servizio d’ordine. Caspita.  Poi altre immagini, stavolta non buie di lacrimogeni ma assolate di belle persone che avanzano tranquille da via Labicana. Caspita, queste vanno verso la carneficina, fermateli! E dài, “fate qualcosa di sinistra”…penso.
Arriva una famigliola scombinata ma simpatica, la bimba dorme. Poi ne arriva un’altra, di famigliola, sfuggita al parapiglia di S. Giovanni, noi stiamo ad appena  cinquecento metri dagli scontri. Sono nordici ma vivono a Roma, e hanno un figlio di sei anni che mi racconta con precisione e passione il percorso che compie con la bicicletta per andare a scuola. Ecco il futuro che abbraccio: un’idea chiara descritta bene e vissuta intensamente. Finito il laboratorio surreale, m’incammino verso Re di Roma. Mi fermo al bancomat. Ancora ottanta centesimi sul conto. Niente accredito. La banca accanto ha i vetri sfondati, alcune persone fotografano gli interni devastati. L’orrore dell’estetica del guardone. Arrivo alla metro e l’omino con fratino giallo mi indica di entrare: cazzo un euro in più sul bilancio della famigliola. In metro facce stravolte che raccontano, con l’acre dei lacrimogeni in gola, la frustrazione di esserci state solo part-time, oggi. Il resto della scena tutta per un gruppone (o)scuro, altro che decine caro Gramellini, si trattava di centinaia di idioti globali che hanno scaraventato una bella idea all’aria. Stai colpendo tuo nipote, mica il poliziotto; colpisci tuo padre, me, e una città col miglior sole del mondo. Ma io l’avrei fermato? Avrei avuto quel coraggio (indignato) di bloccare quelle braccia smagrite tese e scure, che nervose spaccavano tutti gli spettri del potere, che assurdamente vedono lungo queste strade alberate dai Savoia, qualche annetto fa.
Alla radio canzoni che mi guidano fino a casa. Compro un litro di latte e arrivato a casa friggo tacchino per tutti. Fumo innocuo sale fino ai miei occhi. Voglio impregnarmi di famiglia e tentare di spiegare l’estetica del male a mio figlio maggiore. Che guarda queste immagini violente e si paralizza nei suoi dieci anni tondi. Da Genova a oggi. Ora però sono più forte, e lui è ancora più bello e sveglio, così gli spiego che quelli che hanno manifestato nelle novecento piazze del mondo sono persone belle e speciali. Vogliono giustizia, capito? solo a Roma ci sono stati questi scontri brutti.  E lui: beati quegli altri ottocentonovantanove, beati loro. Beato tu figlio dalle parole più dolci del mondo. Ecco, voglio che i miei figli vivano il mondo come occasione per dilatare l’amore e l’entusiasmo per le cose umane. Anche per gli alberi gli uccelli le macchine e gli aerei. Anche per le stelle e gli occhi delle ragazze; anche per le nuvole viste da letti lontani. Nessuno escluso. Tranne l’idiozia.




1 commento:

Anonimo ha detto...

Uno scritto scritto con cuore e testa. Mi è piaciuto molto. é vero, i picchiatori erano tantissimo, i soliti. devo farmene un'idea. AG