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venerdì 24 febbraio 2012

danza


Stanotte ho sognato di una che conosco incoronata e della visita che ho fatto al suo regno di lavoro: mi metto a camminare e osservo tutta quell’aria marziale di gioco e mi fa pena, lei e il suo ambiente. Poi Lei che vuole festeggiare con lo champagne la sua oscura nomina; chiede al nominatore di comprarlo al supermercato, lo champagne; pure? Io che la saluto donandogli con fare da lord una faccia modellata col das, che era venuta un po’ malinconica, e quindi non volevo più tenerla tra le mie mani.  Poi, alleggerito, mi allontano lungo il corridoio a passi di danza. Mi vedo che sfumo alla vista, ed è bellissimo. Devo contattare Francesco Piccolo o Sorrentino: questo è un finale niente male, per un film, per la mia vita.
Sì, la mia parte interiore sta molto avanti rispetto a quello che mostro della mia persona nella realtà. Già. Tra l’altro ballo anche bene e potrei addirittura innamorarmi di me.
Se c’è qualche psicanalista in linea, mi faccia un’interpretazione originale del sogno.

Poi oggi sulla via del ritorno, con tutta la stanchezza negli occhi, vedo una rom al bordo della strada che spinge un carrello pieno di tutto: addirittura dei cavi elettrici arrotolati a disegnarne l’assurdità. I miei occhi si sono incollati a quelle madide gonne nere, lunghissime fino alla mia bocca; conati di ricordo, la mattina sulle scale, e non avevo attacchi da quasi un mese. Le difese sono ai minimi termini eppure dico delle cose ancora intelligenti, con sfumature teatrali che Dario Fo mi fa una pippa.
Non ci sono più agevolazioni né finanziamenti per me: la soglia è ferma a trentacinque anni, che poi sono quelli impiegati per capire che il mio talento l’ho seppellito insieme alle cento lire nella fessura in campagna, lurida di topi, da dove vedevo sfrecciare i treni per Roma, già allora.

Mi piacciono le persone che si sforzano a tirar fuori dalla bocca il massimo dell’onestà, strofinando tutti gli sbagli sul fegato, e lasciando che il coraggio disegni orbite di possibili attimi di sanguigna umanità. Di sudore che non puzza, e con tutte le facce che odio a farmi maramao nello specchio sporco. Io piegato sulle ginocchia lascio entrare tutta la puzza da morto che il ricordo di mio padre pietrificato cede. Rinascere è d’obbligo.
Un bambino mi strofina la pancia e io comincio a ridere come un matto; fuori pioggia mista a merda decora la strada. Stai con me amore mio, ché la guerra è appena cominciata e io sono già sconfitto senza le tue labbra addosso.

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