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giovedì 19 settembre 2013

aspetto lezioni


Stasera ero pronto per andare a sentire la riccia scrittrice di Napoli, al Palatino. C’era pure una tentazione mondana alla libreria di S. Lorenzo: un giovane autore letto da un affermato attore giovane. Ma la schiena era schiacciata da pensieri come minuscole  spine timide: aspetto, niente è perso, mi sono detto in macchina mentre ascoltavo il giovane autore di prima alla radio, che parlava del suo libro. Comunque non sono uscito. Tappato in casa come una mosca impaurita dal freddo, mi sono escluso da ogni forma di mondanità che desidero così tanto da sentirmene umiliato, quindi, anche stavolta evito di uscire e mi ridimensiono ascoltando musica alla radio.

Da giorni penso a come raccontare quell’accidente che mi è capitato la settimana scorsa: mentre cambiavo la ruota forata qualcuno mi ha rubato la borsa con dentro portafogli, chiavi e un taccuino con cosette scritte in questi anni in sale d’aspetto, o in riunioni inutili. Appunti del corso della Lattanzi. Abbozzi di progetti di creativi poli per l'infanzia. Prima della foratura stavo tutto eccitato per gli affari che stavo facendo: acquisti di libri usati per mio figlio. Che affari che fai ragazzo di borgata.
Nella saletta del commissariato mi vedevo come un attore disperato in quei film americani dove le parole sono sostituite da smorfie standard. Niente a che vedere con la dignità di Domenico Quirico durante l’intervista in tivvù, dove il giornalista appena liberato non cedeva neppure un secondo al registro dello spettacolo televisivo, ma continuava a raccontare la sua esperienza come se fosse in un circolo lettori di Cuneo, o di Udine. E il mio appesantimento non aveva niente in comune neppure con l’atteggiamento del protagonista de “Le vite degli altri”: si è trasformato umanamente  tendendo verso la sua vera liberazione, abbandonando una condizione avvilente. Questo è avvenuto in maniera quasi impercettibile durante il film.
 
 
Ci pensavo corrucciato durante il ritorno a casa in auto. E pensavo allo stile che abita la fine delle cose, del giorno, quando uno raccoglie quei quattro stracci di sé e ha poi il coraggio di mostrarli, ma solo dopo averli analizzati uno per uno per quelli che sono: infinitesimali frammenti di un pianeta polveroso dove sono davvero poche le cose che seguono un percorso prevedibile, naturale. Allora mi chiedo perché stare a maledire quello che d’imprevisto ci accade, come se fosse sempre una piccola apocalisse da denunciare al quartiere? Meglio rinunciare, sarebbe meglio smettere i panni del personaggio capriccioso e starsene in pace nelle proprie nevrosi come si sta in aereo durante il decollo: con la paura in bocca smorzata da un sorriso infinito. Intanto però prima del decollo, in bagno, ti eri bevuto una bottiglietta di Chianti accompagnato da tre valeriane bionde. Che furbo che sei homo de mondo. Dormi va, che il mondo gira e meraviglia anche mentre tu ronfi inquieto sotto le lenzuola blu della coop.

 

Io non sono quello che voglio essere quando rido di me e ascolto ogni minimo dettaglio dei vostri racconti, no, sono anche quello che un secondo dopo la vostra uscita di scena ripassa a memoria i discorsi appena fatti e cerca di spurgarne il ricordo da ipocrisie e cose non dette, aggiungendo quello che manca per non fuggire davanti ai soliti errori: imparare a passeggiare senza meta già dal mattino.

2 commenti:

Nadia ha detto...

Un compito che vorrei fare anche mio, camminare senza meta già dal mattino.

peppe stamegna ha detto...

I compiti per resistere all'inverno. Felice per averti ospitato.
ciao Nadia