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giovedì 5 settembre 2013

il mio doppio è più simpatico di me


Ci sono ancora concerti in giro, nonostante siamo tornati tutti a lavoro, in città, lontano dai pantaloncini corti e le colazioni alle undici di mattina. Siamo tornati a combattere in città tra debiti e attese: aspetto con piacere l’uscita del nuovo libro di racconti di Antonio Pascale.  Sperare di vedere qualche film passato a Venezia. Leggere ridendo le vignette di Makkox. E voglio incontrare amici, con cui scambiare tempo, racconti e nevrosi. A parte queste mie divagazioni, e altre cosucce che mi tengono in vita, bisogna urlare: sono finite le vacanze! Azz! ma questi ancora che continuano a tentarci coi concerti. Non vado a vedere la reunion (l’ennesima…) dei Csi. Basta, voglio immergermi nella realtà, delle illusioni e degli svaghi non ne ho più bisogno. Mi devo ancora riprendere dallo spaesamento di quando son tornato a Roma: osservavo il salone di casa e desideravo una camera d’albergo confortevole che mi accogliesse come una zia morbida; poi l’indomani mi sono sbloccato e stavo già potando come un forsennato i rami serpenti del glicine ribelle e vigliacco: lo adoro in primavera, per il resto dell’anno ci sfidiamo come cani e gatti.  Anche se poi, una volta rientrato nelle abitudini urbane, quello che hai fatto in un mese intero si accorcia in un unico ricordo: il sentimento frizzante di non gravitare intorno al lavoro, seppur con venature d’angoscia pomeridiana. Che poi ho pure lavorato, sfidando gli ulivi e i gelsomini agguerriti da mesi e mesi di solitudine verde.

 
Insomma l’estate è finita, così come la giovinezza e, come direbbe Battiato: meno male che sia finito quel periodo della vita gonfio e abbagliante e così inconcludente.
Come l’estate, dove le nostre ferie da cittadini ci fanno compiere azioni che altrove parrebbero da dementi: trascinarci in giro per paesi coi bermuda ancora bagnati e chiedere alle vecchiette cose amene, con quel sorriso abbronzato che, se te lo ritrovassi davanti in un giorno lavorativo, sai le madonne che gli tireresti dietro? In vacanza no, non accade, e tutti galleggiano come bimbi con la sola differenza di bevute fiume di birra: d’inverno ti farebbero pensare a un principio di alcolismo, tutte quelle birre buttate giù all’aperto, con le falene alle spalle che danzano davanti alla plafoniera. Eppure accade, e c’è poco da fare: è un tempo dove timidamente ti sbuca il tuo doppio accanto. Succede già dalla prima ora di ferie. A volte si defila, e ti ritrovi depresso sotto un ombrellone comprato al discount che illude: pare che faccia ombra invece aumenta silenziosamente i raggi UV, pur facendo ombra. Stavo morendo d’insolazione e mentre chiedevo agli amici se avessero farmaci dietro, un’amica mi offre fiori di bach. Educatamente mi sono messo a osservare la confezione, temporeggiando – avevo paura che dalla discussione sull’inutilità dei  prodotti omeopatici poi si arrivasse a Grillo, con rischio di conseguente litigata, no, stavolta ho lasciato cadere le provocazioni con filosofia, da spiaggia. Insomma, prima di ridargli i fiori di bach, mi ero spostato di ombrellone e tutto era passato dalla mia testa.

Il mio doppio vuole la pace, mangiare bene, scopare e bere tanta birra. Chissà se un giorno la sua semplicità arriverà a contagiarmi fino a spingermi a creare una fusione, da cui uscirà un mostro, certo, ma almeno non avrò più bisogno di stare in ferie per galleggiare sulla terra, ché la pesantezza non la voglio più.

 

1 commento:

Capitan vongola ha detto...

Come mi ha fatto piacere questo post, realistico e condivisibile. Girare in bermuda bagnate...scopare bere e mangiare. Stay free Mostro!!!