Quelli poi non l’hanno mica letto il
mio racconto. Ci ho impiegato un mese per scriverlo: tutte le mie ferie. Porca
miseria, va. Loro andavano al mare e io ticchettavo con il ghigno moraviano che
mi faceva apparire misterioso, sì, ma lo ero soltanto per mia suocera che
preoccupata continuava ad occhiarmi. Ma come, scrivo un racconto grosso,
gonfio, romanzato, purafiction e tu, oggi, gennaio 2015, ancora non ti degni di
leggerlo?
Porca miseria!
Mo’ organizzo ‘na serata a tema a
casa mia: tutti mascherati da scrittori. Scegliete: chi da esistenzialista, chi
da romantico, chi da tardo fricchettone, eppure gli scansati vanno bene, eh.
Io mi maschero da contemporaneo di nicchia.
Rido, per dio. E poi verso vino, e
ascolto tutte le vostre battute col ghigno da scemo eccitato, a un certo punto
mi metto come al solito vicino alle femmine e parlo e ascolto dei problemi e
delle frustrazioni della nostra età: ‘sta smania nevrotica la conservo pure quando rido
da scemo. Poi, all’improvviso, vado in camera e mi vesto tutto di bianco, prendo una sedia impagliata e ci salgo su e mi metto a urlare
sguaiatamente: perché non avete ancora letto il mio racconto? la prucidana si è impossessata di me, vecchia e informe femmina dei vicoli della mia infanzia. Così, prima che
cali la tensione nel salone entra Antonio - avvisato via sms – e prende la
sedia, inforca gli occhiali e comincia a leggere il mio racconto. “Nel ’92 feci
una breve vacanza…” Io accanto a lui abbasso lo sguardo e godo, come un cagnolino
godo nel sentire queste parole uniche, mie, che cadono addosso a voi, mezzi
imbriachi e mezzi schizzinosi. Eccheccazz! Ho sprecato le ferie, con gli occhi
di mia suocera addosso, e senza aria condizionata nella stanza, neppure una
limonata con quel caldo e tu, voi, che leggete tutti i post di fèsbùc, tutti,
pure quelli di zia Lia dal Lussemburgo, ma il mio enorme racconto non lo leggete?
Maledetti! Antonio a un certo punto molla, dice che non c’è attenzione in sala.
Già, lui è abituato alla sala Umberto; ma gli ho pure pagato il taxi, e dato
tre litri di olio buono in anticipo. Anto’, sussurro, Anto’ che figura di
merda, non mollare pure tu. Anto’…
Eccomi nella saletta del pronto
soccorso a leggere l’etichetta del sedativo giallo, c’è un sole pallido fuori,
e capisco tutto, senza che me lo dica lui tutto incamiciato di bianco: le ferie son
sacre, la prossima volta porta una limonata alla suocera e scappa di corsa al
mare a limonare con tua moglie.
Ma lo vuoi leggere o no ‘sto
racconto?
(La prego, signore, si corichi adesso e sogni
le ferie).
Il novenne che ero ascoltava questa canzone sdraiato nel letto, attirato dal suo testo misterioso, e aspettando la parolaccia finale, speravo che mia madre intanto fosse uscita dalla mia stanza. Ciao Pinodaniele.
3 commenti:
Ma chi sei tu!! Chi ti conosce? Ma hai mai pubbbblicato? A me se non lo consiglia un critico serio non leggo nemmeno il bugiardino dell'antidepressivo....
Ma anfatti, ma chi è questo che se mette a scrive apposta de anda in ferie? No schiovato sarà.
Poverello va. L'hanno pure ricoverato mo.
Ciao bello.
Giusto per puntualizzare: a me Pino Daniele ha sempre fatto cagare. Prima, dopo. sempre. Grazie. Però m'hai fatto ridere tanto. Grazie Pé!
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