Solitamente almeno un paio di settimane
d’agosto le passiamo in una casetta di legno di 30 metri quadrati, circondata
da ulivi e fantasmi, a dieci minuti dal mare. Il 20 agosto 2013 mi sveglio
all’alba, come a volte mi capita lì. Esco, perlustro il perimetro del giardino
con gli occhi e, una volta verificato che non ci sono animaletti indesiderati
nei paraggi, salgo in auto e in tre minuti sto a Maranola. Nel bar in cima alla
scalinata mi faccio imbustare quattro cornetti alla crema, ne mangio subito uno
da solo e senza sensi di colpa, mentre spulcio Latina Oggi; prima di uscire chiedo
un caffè lungo. Non so voi, ma io all’alba ci associo sempre un quotidiano da
divorare, sempre dopo il cornetto, sia chiaro. Col sapore del caffè sulla
lingua, guido spensierato verso l’edicola, che sta accanto al frantoio. Scendo
e mi fiondo davanti al chioschetto: Repubblica, per favore. Lo afferro e con
gli occhi già scorro la prima pagina mentre aspetto il resto: sappiate edicolanti
che in quei momenti potete darmi pure dieci centesimi di resto quando vi do
cinquanta euro, tanto non me ne accorgo. Mentre il primo articolo mi entra
negli occhi e nella testa, mi avvio a risalire sull’auto e, continuando a
leggere, impiego decine di secondi a cercare di infilare la chiave. Finito il
pezzo, infastidito, guardo il cruscotto: ma che cazz! In due secondi capisco. Ho
sbagliato auto. Intuisco che il tipo robusto che mi stava accanto in edicola è
il proprietario dell’auto dove mi sono accomodato: sta comprando la Gazzetta
dello sport: quel rosa si accende nei miei occhi. Tremo. E se questo mi
acchiappa e mi sbatte per terra pensando che io stia qui per rubargli l’auto?
Schiaccio il mio tasto replay uscendo fulmineo, col giornale tra le mani chiudo
lo sportello ma me lo do sul pollice, forse inconsciamente creo un cuscinetto per
non fare rumore con la portiera: mi attraversa dalla testa alle infradito il
dolore più acuto della mia vita adulta. Santiddio! Sento il tipo della Gazzetta
che continua a chiacchierare di Juventus con l’edicolante, ignaro che uno si
sia intromesso nella sua auto, tantomeno che si sia sfracacciato il ditone scappando,
nel frattempo. Santiddio! Entro nella mia auto e piango, per davvero: le
lacrime scendono che è una bellezza. Dalla caduta in cameretta a otto anni (dente
spezzato) che non vivevo un aspro dolore così. Noto che l’auto dove ho appena finito
di leggere un editoriale è soltanto nera come la mia. Nel giro di qualche secondo
comincio pure a ridere. E sudo. Non riesco ad accendere la mia auto. Intanto sento
i due che si scaldano: e voi quanti ne avete rubati di scudetti? Parto
lentamente, e guido come quei contadini dentro le Apette che bloccano il
traffico per le strade dei paesi. Faccio le curve fino alla casetta ridendo e
piangendo con una cadenza sorprendente, a un certo punto comincio pure a
cantare. Da fuori sembro un disperato appena lasciato dalla fidanzata, prossimo
alla pazzia. Da fuori sembro proprio fuori di me. All’ultima curva, zuppo di
sudore, di lacrime e di mocciolo rischio di prendere in pieno un ulivo
secolare.
Eccomi arrivato. Sono solo salvo. Mi
siedo ancora piagnucolante sul terrazzino col ghiaccio sul dito e il giornale stropicciato
sul tavolino bianco. Meno male: gli altri dormono ancora, e a me e al gatto non
resta che fissare sconsolati il mare che appare dietro al giovane melograno. Mi
esplode un’immagine ghiacciata in testa: vedo la busta bianca di cornetti alla
crema adagiati sul sedile passeggero nell’auto dello juventino.
-Papà…papà, ma hai preso i cornetti?
5 commenti:
l ho letto solo ora purtroppo. mi sa che diventerà la mia lettura nei risvegli scazzati. ah ah, sumarun!
diventerà la mia lettura nei risvegli scazzati, sumarun!
Al suo servizio ReVongola, ogni mattina! .
ps
chissà cosa avevi scritto nei tre commenti eliminati...
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